Il corpo centrale di Villa Emo è, come consuetudine nelle ville palladiane, suddiviso in tre piani, in base alle funzioni operative della villa veneta. Al piano terra si trovavano le cucine, ora sostituite da cucine moderne utilizzate un tempo per il servizio di ristorazione del dismesso albergo, oggi fruibili per gli eventi in villa. Nel piano nobile ci sono le stanze in cui viveva il nobile signore, la sua famiglia e gli ospiti, completamente decorate con gli affreschi, opera di Battista Zelotti tra il 1561 e il 1565. Gli spazi sono ripartiti secondo le precise regole geometriche impostate dal Palladio, in cui un modulo base, opportunamente replicato per mezzo o intero, genera dei perfetti ambienti in rapporto armonico tra loro. L’accesso del nobile patrizio veneziano del Cinquecento avveniva dall’ampia loggia rettangolare; da qui entrava direttamente nel grande salone centrale a pianta quadrata, l’ambiente più grande e alto dell’intera dimora, attraverso l’arco del vestibolo, con accanto gli spazi dei locali di disimpegno destinati alla servitù, occultati da porte in armonia con gli affreschi. Anche questo ambiente ha subito per un breve periodo delle modifiche per adattarlo al gusto dell’epoca, e ce lo ricorda nuovamente il Bertotti Scamozzi:
La Sala, ch’è quadrata, ha un’altezza minore della sua larghezza;
ed aveva un tempo un Soffitto di legno co’ suoi lacunari,
il quale presentemente è stato coperto con una volta leggera
di una piccola porzione di cerchio.
Il conte Corrado Emo fra il 1937 e il 1940, con felice iniziativa e a proprie spese, fece ricomporre da Mario Botter i soffitti palladiani a lacunari della loggia e del salone. Quest'ultimo era stato sostituito da un soffitto a semplice intonaco, come descrive il Bertotti Scamozzi, e poi nell'Ottocento da un pesante soppalco a lacunari. Questa scoperta mette in luce così, la continuità stilistica e decorativa con il soffitto della loggia.
La vita del signore proseguiva nelle simmetriche sale rettangolari accanto, riscaldate da grandi caminetti incorniciati da marmi e rivestiti al loro interno da piccole piastrelle decorate. Da queste ampie sale poste a settentrione, passava nei camerini mediani delle grottesche, anch’essi simmetrici, per giungere a meridione nelle stanze a pianta quadrata sul fronte della villa, anch’esse riscaldate da grandi caminetti incorniciati da marmi e rivestiti al loro interno da piccole piastrelle decorate.
Questa armonia di forme e proporzioni investiva anche i locali di disimpegno, nascosti tra i camerini delle grottesche e il vestibolo. Quello posto a occidente ospita una piccola scala in legno che conduce ad un soppalco, mentre il più suggestivo spazio a oriente mostra un altro capolavoro del genio dell’architetto del Cinquecento: la scala a chiocciola. Palladio è un razionale innovatore degli spazi, in grado di condensare anche in piccoli ambienti le necessità della villa-fattoria. La scala a chiocciola permette con il suo minimo ingombro, il lavoro di tutta la servitù del nobile senza essere vista dal padrone: dalle cucine del piano terra al servizio nel piano nobile fino agli alloggi e granai del sottotetto, senza turbare la vista di nessuno.
Il sottotetto è l’ultimo piano della villa, un tempo sede dei granai e degli alloggi della servitù, trasformati in suite per i clienti dell’albergo aperto e gestito per breve periodo dalla famiglia Emo.
L’estrema semplicità e la ritmata eleganza del prospetto esterno convivono con la ricca magnificenza degli affreschi che decorano interamente il piano nobile. La villa costituisce, perciò, una felice contrapposizione tra la dilatazione spaziale, data dalle forme semplici e sapienti di Andrea Palladio, e la sovrabbondanza offerta invece dagli affreschi interni di Battista Zelotti.
Questa leggiadra Fabbrica, abbenché alterate vi si trovino le proporzioni
praticate dal suo Architetto, riesce di una eleganza, e di una non ordinaria bellezza; imperciocché vi si vede una corrispondenza fra le parti e il Tutto, ed una tal grazia,
che gl’Intendenti ne rimangono soddisfatti: il che può servire di regola agli Architetti
per potersi allontanare alcuna volta dalle regole prescritte dai gran Maestri,
senza uscire però da certi determinati confini stabiliti dalla ragione e dal buon senso.
Bartolomeo Bertotti Scamozzi