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L’Architettura

L’architettura di Villa Emo

La datazione di Villa Emo è ancora oggi piuttosto controversa: in base agli ultimi studi condotti la data di costruzione viene collocata tra il 1556 ed il 1559. L’unica certezza è costituita dal fatto che sicuramente essa fu terminata prima del 1570, poiché all’interno del trattato di Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura, pubblicato a Venezia in quello stesso anno, troviamo la descrizione del sito, accompagnata dai nomi sia del committente della villa che del pittore artefice degli affreschi. Un’altra importante notizia, riguardante il termine della sua costruzione, proviene anche da una pergamena conservata nell’archivio Emo-Capodilista, risalente al 1559 e firmata dall’allora proprietario della villa, Leonardo Emo. In tale pergamena si chiedeva al podestà di Castelfranco Veneto una permuta di terreni, allo scopo di riquadrare e delimitare l’intera proprietà, operazione che veniva, in genere, svolta al termine dei lavori di costruzione di un edificio. Questi sono, tuttavia, gli unici documenti a nostra disposizione riguardanti la datazione della villa.

La facciata di Villa Emo

La collocazione di Villa Emo nell’ampia proprietà è incentrata su due direttrici tra loro perpendicolari, una orizzontale, costituita dalla villa stessa, e una verticale costituita dal viale, in origine completamente alberato di pioppi, che nel XVI secolo rappresentavano un importante segnale stradale per i viaggiatori di passaggio nelle terre della famiglia Emo. Dal punto di vista architettonico, nel prospetto della villa si impone subito alla vista il corpo centrale.

Esso è leggermente aggettante rispetto all’asse delle due barchesse e caratterizzato dai tratti distintivi della facciata classica come il pronao del tempio greco, ossia le quattro colonne, qui di ordine dorico, e il frontone decorato. Il pronao si presenta sobrio e privo di decorazioni, quasi a sposare la pulizia formale tipica dell’ordine dorico, mentre il frontone si concede l’inserimento decorativo di due Vittorie alate, che reggono lo stemma araldico della famiglia Emo, caratterizzato, come si può notare all’interno del corpo nobile, da quattro fasce inclinate e alternate nei colori del rosso e dell’argentato. Seppur in modo lieve, questa colorazione è presente anche nella scultura del Vittoria, e nell’insieme costituisce l’unico elemento di decorazione plastica presente all’esterno e all’interno della soluzione architettonica prospettata per Villa Emo da Andrea Palladio. Nei Quattro Libri Palladio spiega le ragioni della trasposizione di questo elemento sacralizzante in una abitazione privata, affermando che:

tali frontespizi accusano l’entrata della casa, e servono molto alla grandezza, e magnificenza dell’opera, facendosi in questo modo la parte dinanzi più eminente dell’altre parti, oltra che riescono comodissimi per le insegne, overo armi degli edificatori, le quali si sogliono collocare nel mezo delle facciate.

L’intera facciata è collocata sopra un alto basamento, il quale è collegato alla corte centrale da una rampa d’accesso, dalla quale si intuisce la vocazione agricola del complesso. La rampa, un unicum nelle fabbriche palladiane, era necessaria per mettere i prodotti ad asciugare e seccare al sole e facilitare il trasporto ai granai mediante carriole, cariche di derrate alimentari o altre merci.

La rampa, l’aia antistante, che ne costituisce la perfetta continuazione, e le basi delle colonne, sono l’unico elemento architettonico in pietra. Il principale materiale costruttivo di Villa Emo è infatti, il mattone ricoperto di intonaco. Gli stessi fusti delle quattro colonne doriche della loggia sono realizzati in laterizio. La scelta dei materiali costruttivi ci pone, quindi, di fronte al genio di questo architetto: i materiali poveri ed economici, infatti, vengono sfruttati al massimo della loro potenzialità; ossia compresi e valorizzati al fine di raggiungere l’effetto di massima eleganza. Malta, mattoni e legno sono gli elementi chiave di questa costruzione, all’interno della quale spetta alla decorazione il compito di imitare i materiali preziosi.

La simmetria dell’intero prospetto è, inoltre, valorizzata dall’utilizzo di semplici forme geometriche: due parallelepipedi, costituiti dalle due barchesse, che incorniciano il corpo cubico del blocco centrale.

Le barchesse

Le barchesse est e ovest, ovvero le due lunghe ali laterali porticate che partono dal corpo nobile della villa, rappresentano il fulcro dell’azienda agricola: si tratta di due corpi di uguale misura, entrambi ritmati da undici grandi archi a tutto sesto, per ogni barchessa. Nel progetto del Palladio, visibile nel trattato I Quattro Libri dell’Architettura, gli undici archi presenti in ogni lato univano soltanto prospetticamente la villa, poiché in realtà i corpi laterali e quello centrale erano tra loro separati per la misura di ben tre campate. Palladio costituisce in questo modo, un collegamento meramente ottico tra i due elementi caratterizzanti della villa: quello padronale e signorile da un lato e quello rurale e agricolo dall’altra. Inoltre le arcate che libere si aprono sulla campagna retrostante alla dimora, contribuiscono a marcare questa divisione d’uso e rendere più aulico e leggero il corpo centrale, architettonicamente dissimile dalle barchesse.

Questa originalità del progetto palladiano iniziale, verrà persa per sempre nella prima metà del Settecento a seguito di un adattamento a nuove esigenze d’uso della villa. È da ascrivere probabilmente all’anno 1744, ad opera dell’architetto Francesco Muttoni (1667-1747), la trasformazione da villa-fattoria di palladiana concezione a villa-residenza nobiliare, dove trascorrere le vacanze e accogliere gli ospiti. La data non è casuale, infatti corrisponde ad un’iscrizione a mosaico sita nel mezzanino della villa, area normalmente non fruibile al pubblico, e indica l’anno dei grandi lavori di adattamento del luogo, rendendolo più in linea alle mode ed esigenze della società veneziana e delle sue smanie per la villeggiatura di goldoniana memoria. Sempre di quel periodo è la costruzione, negli spazi della barchessa occidentale, di un piccolo oratorio dedicata a San Giovanni Battista, che fortunatamente non ha intaccato il prospetto palladiano, ed è riconoscibile solo dal portale d’ingresso architravato e da una piccola campana, posta sul tetto della barchessa.

Con queste nuove opere architettoniche, non solo si è persa l’apertura ad arco verso la campagna retrostante, ora corridoio d’accesso al piano nobile usato per la visita dei turisti, ma anche le finestre che illuminavano di luce diretta i camerini delle grottesche. Questo adeguamento a nuovi usi abitativi fu puntualmente registrato da Ottavio Bertotti Scamozzi (1719-1790) nel suo libro Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, dato alle stampe nel 1796 a Vicenza.

Le adiacenze che la fiancheggiano sono di una significante lunghezza in proporzione della Fabbrica principale, e queste furono disegnate dal Palladio per alloggiarvi, com’egli dice, le cantine, i granari, le stalle, e gli altri luoghi di Villa; ora per altro sono impiegate a più nobile uso, cioè Stanze e Stanzini, che rendono la Fabbrica più comoda, e capace d’alloggiare, oltre a’Padroni di Casa, gli Ospiti che vi concorrono.

Gli spazi delle barchesse, infatti, erano originariamente destinati a un mero uso agricolo e ospitavano le stalle, le cantine e il ricovero degli attrezzi; sul versante meridionale, sono completamente porticati, per una duplice ragione estetica e funzionale, perché in questo modo, permettevano ai contadini di lavorare tutto il giorno e con qualsiasi condizione atmosferica, riparandoli non soltanto dalla pioggia, ma anche dal sole cocente nella stagione estiva. Anche i due archi dei portici, posti alle rispettive estremità di levante e ponente verso il parco, la cui funzione era di ingresso laterale per il ricovero dei carri, furono nel corso dei secoli murati e sostituiti da due porte.

Ai limiti laterali delle due barchesse, in posizione leggermente più arretrata, si alzano due torri colombare, all’interno delle quali venivano allevati dai contadini, a scopo alimentare o per vendita, i colombi. Dell’antico uso delle colombare restano visibili gli oculi d’ingresso dei volatili, occlusi tra Sette e Ottocento a seguito del cambio di destinazione d’uso.

Attualmente le stanze delle barchesse frutto della trasformazione settecentesca ad opera del Muttoni, ospitano nell’ala occidentale sale polifunzionali e nell’ala orientale l’ingresso dell’area museale con tutti i servizi propri di questa nuova destinazione d’uso: biglietteria, book shop e sale didattiche. Inoltre in questa area troviamo al piano terra, tre ampie sale con caminetti e ornate da grandi tele di soggetto paesaggistico, inquadrate in cornici di stucco, ora adibite ad uso commerciale e ricettivo per gli eventi organizzati in villa: conferenze, buffet, servizio ristorazione, esposizioni e concerti. L’ala occidentale e il primo piano di entrambe le barchesse, convertito oltre venti anni fa a camere di albergo, non sono visitabili dai turisti.

L’oratorio di Villa Emo

L’esistenza di un luogo dedicato al culto nell’edificio di Andrea Palladio è abbastanza confusa e controversa. La studiosa Donata Battilotti ha tentato di far luce su questo dilemma:

una testimonianza indiziaria ambigua è fornita dalle visite pastorali effettuate dal vescovo di Treviso a Fanzolo nel 1564 e nel 1567. In occasione di quest’ultima, il 2 Maggio viene, infatti, consacrato l’oratorio della villa, il che fa pensare che al tempo della visita precedente l’edificio sacro non fosse ancora costruito o finito.

Allo stato attuale delle ricerche, non siamo in grado di individuarne la collocazione originaria dell’oratorio citato nei documenti presi in esame da Donata Battilotti, in particolare se questo fosse nelle vicinanze della villa o meno. L’oratorio di Villa Emo non è visitabile. L’edificio citato non corrisponde però all’oratorio attuale, ricavato nel Settecento nella barchessa ovest a seguito della trasformazione da villa-fattoria a villa-residenza nobiliare. L’oratorio consacrato a San Giovanni Battista è individuabile dal prospetto sud di Villa Emo, dalla campana posta sul tetto della barchessa ovest. Entrando sotto i portici della barchessa si nota il portale architravato con un sobrio timpano in pietra.

Peraltro questa è l’unica porta delle barchesse, e per estensione dell’intera villa, decorata con una struttura architettonica che non sia intonaco o pittura, quasi a significare l’importanza del luogo di culto rispetto alle altre aree della villa. Il timpano è sormontato da una nicchia in cui presumibilmente un tempo era collocata una statua votiva.

​Dalla porta si accede direttamente all’oratorio di pianta rettangolare, illuminato solo nell’abside da due finestre laterali, di cui una occlusa, e da una finestra a mezzaluna che segue l’andamento della volta dell’abside a crociera. Il pavimento è in seminato veneziano con al centro una lapide priva di iscrizioni, di cui si ignora ad oggi il contenuto. Alle pareti troviamo le medesime quadrature colorate delle sale della barchessa est: quelle dell’oratorio portano il colore verde salvia come nell’ultima sala della barchessa est. Sulle pareti dell’oratorio sono presenti quattro quadrature (due a sinistra e due a destra), ognuna contenente un’incisione: da sinistra troviamo San Giuseppe e a seguire Gesù Cristo con crocifisso; a destra invece troviamo San Luca, mentre a seguire l’incisione del mausoleo eretto per la morte di Angelo Emo.

​Più elaborata risulta invece la decorazione del soffitto, dove è presente un bordo in stucco lungo tutto il perimetro della stanza, intervallato in alcuni punti da stucchi di ispirazione naturalistica con racemi e cesti. Il soffitto dell’aula presenta un grande ovale in stucco bordato di color verde salvia, con all’interno racemi angolari e un rosone centrale. Più elaborato il soffitto dell’abside con una volta a crociera intervallata da fasce colorate in verde salvia e stucchi con festoni che incorniciano il tondo centrale su cui si staglia, su un tenue cielo azzurro, la colomba simbolo dello Spirito Santo anch’essa in stucco come le nuvole bianche e i raggi dorati. Queste importanti decorazioni in stucco sono le uniche presenti in villa, oltre al fregio del Vittoria sulla facciata e le varie statue sparse tra giardino e barchesse.

​L’abside presenta un altare in legno decorato in finto marmo, poggiante su una pedana anch’essa in legno, decorata con motivi pavimentali a rombo. Sull’altare ora sono presenti due candelieri, un crocifisso e un piccolo tabernacolo in legno, che conserva all’interno una piccola scultura di santo con bastone e un bambino in braccio, presumibilmente San Giuseppe. Sopra l’altare una grande cornice bordata in marmo e in pietra, in cui presumibilmente un tempo era collocata una pala d’altare o un’immagine votiva, ora conserva una cornice dorata con un’incisione che raffigura una crocifissione. Ai lati dell’altare due mensole in legno sorreggono due candelieri in legno, sopra i quali a parete ricorrono le quadrature in color salvia ora recanti un’incisione con San Francesco Serafico e un ex voto contenente un estratto della II lettera ai Tessalonicesi (II, 9). Dei presunti arredi originali restano un inginocchiatoio e un altro inginocchiatoio da confessione, sormontato da una grata in metallo decorata con una croce. Sono presenti sulla pedana dell’altare e sull’altare stesso dei frammenti tessili imbottiti a mo’ di inginocchiatoio.

Il corpo centrale

Il corpo centrale di Villa Emo è, come consuetudine nelle ville palladiane, suddiviso in tre piani, in base alle funzioni operative della villa veneta. Al piano terra si trovavano le cucine, ora sostituite da cucine moderne utilizzate un tempo per il servizio di ristorazione del dismesso albergo, oggi fruibili per gli eventi in villa. Nel piano nobile ci sono le stanze in cui viveva il nobile signore, la sua famiglia e gli ospiti, completamente decorate con gli affreschi, opera di Battista Zelotti tra il 1561 e il 1565. Gli spazi sono ripartiti secondo le precise regole geometriche impostate dal Palladio, in cui un modulo base, opportunamente replicato per mezzo o intero, genera dei perfetti ambienti in rapporto armonico tra loro.

L’accesso del nobile patrizio veneziano del Cinquecento avveniva dall’ampia loggia rettangolare; da qui entrava direttamente nel grande salone centrale a pianta quadrata, l’ambiente più grande e alto dell’intera dimora, attraverso l’arco del vestibolo, con accanto gli spazi dei locali di disimpegno destinati alla servitù, occultati da porte in armonia con gli affreschi. Anche questo ambiente ha subito per un breve periodo delle modifiche per adattarlo al gusto dell’epoca, e ce lo ricorda nuovamente il Bertotti Scamozzi:

La Sala, ch’è quadrata, ha un’altezza minore della sua larghezza; ed aveva un tempo un Soffitto di legno co’ suoi lacunari, il quale presentemente è stato coperto con una volta leggera di una piccola porzione di cerchio.

Il conte Corrado Emo fra il 1937 e il 1940, con felice iniziativa e a proprie spese, fece ricomporre da Mario Botter i soffitti palladiani a lacunari della loggia e del salone. Quest’ultimo era stato sostituito da un soffitto a semplice intonaco, come descrive il Bertotti Scamozzi, e poi nell’Ottocento da un pesante soppalco a lacunari. Questa scoperta mette in luce così, la continuità stilistica e decorativa con il soffitto della loggia.

La vita del signore proseguiva nelle simmetriche sale rettangolari accanto, riscaldate da grandi caminetti incorniciati da marmi e rivestiti al loro interno da piccole piastrelle decorate. Da queste ampie sale poste a settentrione, passava nei camerini mediani delle grottesche, anch’essi simmetrici, per giungere a meridione nelle stanze a pianta quadrata sul fronte della villa, anch’esse riscaldate da grandi caminetti incorniciati da marmi e rivestiti al loro interno da piccole piastrelle decorate

Questa armonia di forme e proporzioni investiva anche i locali di disimpegno, nascosti tra i camerini delle grottesche e il vestibolo. Quello posto a occidente ospita una piccola scala in legno che conduce ad un soppalco, mentre il più suggestivo spazio a oriente mostra un altro capolavoro del genio dell’architetto del Cinquecento: la scala a chiocciola. Palladio è un razionale innovatore degli spazi, in grado di condensare anche in piccoli ambienti le necessità della villa-fattoria. La scala a chiocciola permette con il suo minimo ingombro, il lavoro di tutta la servitù del nobile senza essere vista dal padrone: dalle cucine del piano terra al servizio nel piano nobile fino agli alloggi e granai del sottotetto, senza turbare la vista di nessuno. Il sottotetto è l’ultimo piano della villa, un tempo sede dei granai e degli alloggi della servitù, trasformati in suite per i clienti dell’albergo aperto e gestito per breve periodo dalla famiglia Emo.

L’estrema semplicità e la ritmata eleganza del prospetto esterno convivono con la ricca magnificenza degli affreschi che decorano interamente il piano nobile. La villa costituisce, perciò, una felice contrapposizione tra la dilatazione spaziale, data dalle forme semplici e sapienti di Andrea Palladio, e la sovrabbondanza offerta invece dagli affreschi interni di Battista Zelotti.

Questa leggiadra Fabbrica, abbenché alterate vi si trovino le proporzioni praticate dal suo Architetto, riesce di una eleganza, e di una non ordinaria bellezza; imperciocché vi si vede una corrispondenza fra le parti e il Tutto, ed una tal grazia, che gl’Intendenti ne rimangono soddisfatti: il che può servire di regola agli Architetti per potersi allontanare alcuna volta dalle regole prescritte dai gran Maestri, senza uscire però da certi determinati confini stabiliti dalla ragione e dal buon senso.

Bartolomeo Bertotti Scamozzi

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**AVVISO**

Gentili visitatori,

La Villa rimarrà chiusa dal 4 al 10 settembre. Si riapre con gli orari consueti dall'11 settembre eccetto il 14 settembre, giorno in cui la villa rimarrà chiusa. La biglietteria on-line sarà sospesa e l'accesso avverrà solo su prenotazione tramite ufficio Villa Emo, dalle 10:00 alle 13:00, dal mercoledi al venerdi al +39 331 808 4921, anche tramite messaggistica whatsapp.

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